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  #1  
Old 04-09-2008, 08:21 PM
breunzo breunzo is offline
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La lista delle cantine (Quel vino è pericoloso)


Le quattordici cantine

L'elenco delle ditte che secondo il pm hanno acquistato il vino sotto inchiesta

Vinicola Marseglia
Ortanova (Foggia)
Cantina Sgarzi
Castel San Pietro (Bologna)
Cantine Soldo
Chiari (Brescia)
Cantine Borgo San Martino
La Morra (Cuneo)
Morettoni Spa
Santa Maria degli Angeli (Perugia)
Acetificio Pontiroli
San Felice sul Panaro (Modena)
Nuova Commerciale
Ovada (Alessandria)
Coppa Angelo & f. snc
Doglieni (Cuneo)
Vinicola Santa Croce
Monteforte d'Alpone (Verona)
Azienda Agricola Rizzello spa
Cellino San Marco (Brindisi)
Cantina Campi
Seclì (Lecce)
Cooperativa tre produttori
Latiano (Brindisi)
Casa Vinicola Poletti
Imola (Bologna)
Sarom Vini srl
Castel Bolognese (Ravenna)

http://espresso.repubblica.it/


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  #2  
Old 04-09-2008, 11:56 PM
magikoMILAN1982 magikoMILAN1982 is offline
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ce n'è giusto una vicina al mio paese (strano che importino vino vista la qualità delle uve nostrane....) comunque io sono tranquillo
cin cin a tutti


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  #3  
Old 04-09-2008, 11:56 PM
corso corso is offline
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tutti conosciuti.....
in mongolia sentiranno la mancanza


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  #4  
Old 04-10-2008, 02:03 AM
breunzo breunzo is offline
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Benvenuti a Velenitaly

L'espresso conferma la sua inchiesta sulla pericolosità di 70 milioni di litri di vino a basso costo venduti in tutta Italia. Nelle botti sequestrate finora sono state individuate tracce di concimi, sostanze cancerogene, acqua, zucchero, acido muriatico e solo un quinto di mosto. Per questo i magistrati hanno contestato il reato di sofisticazione alimentare, che punisce chi produce sostanze pericolose per la salute

AGGIORNAMENTO DEL 3 APRILE, ORE 19,50
Molti lettori chiedono che L'espresso faccia i nomi delle aziende coinvolte nello scandalo. Noi abbiamo pubblicato nell'articolo tutti i nomi e tutti gli elementi che siamo riusciti a raccogliere con certezza. Saremmo stati felici di pubblicare la lista completa delle ditte sotto inchiesta, ma non siamo riusciti a ottenerla. La richiesta di piena trasparenza su questa e su altre sofisticazioni alimentari che mettono a rischio la salute dei consumatori - come abbiamo scritto - non va rivolta a noi ma ai ministeri competenti: in questo caso, quello delle Politiche agricole e quello della Sanità


Di vino ne contengono poco: un terzo al massimo, spesso di meno. Il resto è un miscuglio micidiale: una pozione di acqua, sostanze chimiche, concimi, fertilizzanti e persino una spruzzata di acido muriatico. Veleni a effetto lento: all'inizio non fanno male e ingannano i controlli, poi nell'organismo con il tempo si trasformano in killer cancerogeni.
Secondo i magistrati di due procure e la task force che da sei mesi indagano sulla vicenda, questo cocktail infernale è il protagonista della più grande sofisticazione alimentare mai scoperta in Italia. Perché con la miscela tossica sono state confezionate quantità mostruose di vino. Gli inquirenti ritengono che si tratti di almeno 700 mila ettolitri: sì, 70 milioni di litri messi in vendita nei negozi e nei supermercati come vino a basso costo anche dai marchi più pubblicizzati del settore. Un distillato criminale che ha riempito circa 40 milioni di bottiglie, fiaschi e confezioni di tetrapack d'ogni volume, offerte a un prezzo modestissimo: da 70 centesimi a 2 euro al litro.

L'inchiesta è tutt'ora in corso: solo una parte dei prodotti pirata è stata sequestrata perché è impossibile rintracciare tutte le bottiglie. Ma gli elementi raccolti dagli investigatori mostrano un sistema industriale di contraffazione che nasce dalla criminalità organizzata e alimenta le grandi cantine: le aziende coinvolte nello scandalo sono già 20. Otto si trovano al Nord: in provincia di Brescia, Cuneo, Alessandria, Bologna, Modena, Verona, Perugia. Il resto invece è sparso tra Puglia e Sicilia: le sorgenti del vino contraffatto e dei documenti che gli hanno permesso di invadere le botti. Perché con questo sistema criminale i produttori riuscivano a risparmiare anche il 90 per cento: una cisterna da 300 ettolitri costava 1.300 euro, un decimo del prezzo normalmente chiesto dai grossisti del vino di bassa qualità.

Retrogusto al metanolo L'istruttoria è nata partendo da uno dei soliti sospetti: una cantina di Veronella che 22 anni fa venne coinvolta dal dramma delle bottiglie al metanolo. Ricordate? Diciannove persone uccise mentre altre 15 persero la vista per colpa del mix a base di mosto e di un alcol sintetico, normalmente utilizzato nelle fabbriche di vernici: un liquido inodore e micidiale. Una tragedia che cancellò la credibilità della nostra enologia e stroncò l'export. Ma nello stabilimento di Bruno Castagna anche quella lezione sembra dimenticata. Quando nello scorso settembre scatta l'irruzione, gli agenti del Corpo forestale di Asiago e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari trovano subito una situazione anomala: accanto alle cisterne c'erano taniche piene di acido cloridrico, altre con acido solforico e 60 chili di zucchero. Gli ispettori mettono tutto sotto sequestro e fanno esaminare campioni di vino bianco e rosso per capire cosa contengano. I test condotti nell'Istituto agrario di San Michele all'Adige e nel laboratorio di Conegliano Veneto dell'Ispettorato centrale forniscono lo stesso verdetto choc: in quel liquido di uva ce n'è circa un quinto, il minimo indispensabile per dare un po' di sapore. I test sono concordi: tra il 20 e il 40 per cento, non di più. E il resto? Acqua, concimi, fertilizzanti, zucchero, acidi. Sì, acidi: usati per mimetizzare lo zucchero vietato per legge. L'acido cloridrico e l'acido solforico vengono utilizzati per 'rompere' la molecola dello zucchero proibito (il saccarosio) e trasformarlo in glucosio e fruttosio, legali e normalmente presenti nell'uva. Un metodo che consente così di sfuggire ai controlli. Risultato: da una normale analisi non emergerà la contraffazione. I due acidi, assieme alle altre sostanze cancerogene, non uccidono subito, ma lo fanno progressivamente, in modo subdolo. L'acido cloridrico, comunemente chiamato acido muriatico, può provocare profonde ustioni se finisce sulla pelle, se ingerito è devastante.

A Veronella uno degli investigatori è svenuto per i vapori e sono stati chiamati i pompieri per rimuovere le scorte. Il titolare della cantina è stato arrestato per il reato di sofisticazione alimentare con pericolo della salute pubblica: di quel liquido ad alto rischio ne avevano ancora migliaia di litri. Ma il fascicolo aperto dal pubblico ministero di Verona Francesco Rombaldoni poco alla volta si è gonfiato di reati pesantissimi: l'associazione a delinquere per gli imprenditori vinicoli del Nord. Che diventa addirittura associazione mafiosa per i loro referenti meridionali.
Sacra cantina unita Partendo dai silos veneti gli agenti della Forestale sono arrivati ai fornitori della pozione micidiale. La pista conduce fino a Massafra in provincia di Taranto. Secondo l'accusa, l'intruglio proviene da due stabilimenti: la Enoagri export srl e la Vmc srl, vini, mosti e concentrati. Per gli inquirenti il gigantesco impianto della Vmc è stato costruito non per produrre vino, ma per fabbricare quantità industriali di quel mix velenoso: c'è un vero laboratorio chimico. Da lì l'inchiesta si allarga ancora e si estende in tutta Italia, con squadre di investigatori all'opera anche in Sicilia, mentre il coordinamento per il fronte Sud viene preso dal pm Luca Buccheri della Procura di Taranto. Pochi giorni fa il magistrato ha sequestrato i due stabilimenti, ma gli investigatori sono convinti che i titolari siano solo dei prestanome. Dietro di loro, in realtà, ci sarebbero gli investimenti della Sacra corona unità, il nucleo storico della mafia pugliese. E poiché ogni documento falso richiede altre coperture, altre aziende nelle mani della malavita avrebbero fornito certificati e ricevute per giustificare l'attività delle distillerie di veleno. Tutto finto: vino, forniture, bolle di trasporto, fatture. A Massafra è stata sequestrata la Tirrena Vini, definita dagli inquirenti una 'cartiera'. E sono spuntati documenti taroccati realizzati pure da ditte di Trapani, che hanno fatto ipotizzare un collegamento operativo con Cosa nostra siciliana. E per questo anche la Direzione investigativa antimafia è scesa in campo per intercettare i movimenti di capitali impegnati nell'operazione criminale.

Cocktail al veleno Una volta scoperte le sorgenti, gli specialisti della Forestale e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari si sono messi a studiare tutti gli acquirenti della pozione. E hanno ricostruito la mappa di quella che definiscono la più grande frode mai scoperta in Italia: 70 milioni di litri di vino corretto o fabbricato con liquidi pericolosi per la salute. Viene creata una task force di investigatori e informato il ministero delle Politiche agricole. La miscela è finita nelle cantine di sei regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Puglia e Sicilia. I primi test avrebbero riscontrato lo stesso cocktail di Veronella: solo il 20-30 per cento è vino, il resto è composto dal solito intruglio di fertilizzante, concime, zucchero e acido made in Massafra. Ma a preoccupare ministero e inquirenti è soprattutto l'uso che ne avrebbero fatto due impianti, uno nel Bresciano e l'altro nel Veronese, che sono leader in Italia nell'imbottigliamento e nella vendita di vini a basso prezzo. Solo da questi due stabilimenti sono uscite milioni di bottiglie, di fiaschi e di cartoni destinati in massima parte al mercato nazionale.

È chiaro che a questo punto l'inchiesta assume una dimensione di alto impatto per l'economia italiana. Con il rischio di un danno d'immagine ben più grave di quello provocato dall'allarme sulla bufala. Per questo il vertice del ministero ha scelto una linea di massima cautela: sia per non compromettere gli sviluppi investigativi sul versante mafioso, sia per non infliggere un nuovo colpo alla credibilità dei nostri prodotti. Il settore basso del mercato è anche quello dove la concorrenza internazionale è più forte, con nuove nazioni che si lanciano con prodotti a prezzi infimi. Ma nonostante i sequestri, moltissime delle bottiglie sotto inchiesta restano in vendita: 'L'espresso' ne ha visto un intero stock in un centro commerciale del Nord-est.

D'altronde le quantità contraffatte accertate finora dagli investigatori non hanno precedenti: 700 mila ettolitri. Un record, che può inondare un'altra delle risorse nazionali con un fiume di vino dal retrogusto di acido muriatico.

(03 aprile 2008)

Last edited by breunzo : 04-10-2008 at 02:14 AM.


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  #5  
Old 04-10-2008, 02:08 AM
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Quel vino è pericoloso

di Emiliano Fittipaldi e Paolo Tessadri
Il pm ordina il sequestro di tutte le bottiglie incriminate. Contestando la presenza di sostanze tossiche. Un documento che conferma lo scandalo rivelato da "L’espresso". E smentisce il ministro. In edicola da venerdì

All'indomani delle anticipazioni dell'inchiesta "Velenitaly" pubblicata da "L'espresso", il pm di Taranto Luca Buccheri prende carta e penna e firma il decreto di sequestro. Ordina di scoprire dove sono finiti i milioni di litri di «prodotto vinoso», così alterato da non potere essere chiamato vino, venduti alle cantine di tutta Italia.

Buccheri, che coordina le indagini da mesi, non ha dubbi: quel liquido è «pericoloso per la salute », e va rapidamente sequestrato. È il 4 aprile, venerdì mattina. Il documento recita così: «Valutate le emergenze investigative ad oggi, le quali fanno ritenere, dopo i sequestri presso le imprese Vmc ed Enoagri in Massafra, come dette imprese in un "unicum" delinquenziale abbiano allestito un'intensa attività di sofisticazione di prodotti vinosi; sofisticazione attuata mediante plurime e diverse violazioni delle normative di settore, aggiunta e addizioni di sostanze acide e/o estranee alla natura del vino, alcune delle quali di massima pericolosità per la salute umana (ovvero tramite aggiunte di zucchero di barbabietola e acqua, nonché detenendo e verosimilmente utilizzando acido cloridrico, solforico e fosforico, che risultano essere acidi minerali pericolosi perché tossici, corrosivi ed infiammabili nelle quantità elevate in sequestro e quanto alla elevatissima concentrazione con cui erano detenuti gli acidi cloridrico e solforico, nonché acido citrico, acido tartarico, fosfato monoammonico, fosfato biammonico, solfato di ammonio, lieviti, enzimi, glicerina), in modo tale da rendere il prodotto vinoso pericoloso per la salute pubblica».

A qualche ora di distanza dalla firma del provvedimento, invece, il ministero delle Politiche agricole nega che in quel vino ci siano sostanze dannose. È venerdì pomeriggio. Con un comunicato congiunto con il dicastero della Salute, Paolo De Castro cerca di chiudere lo scandalo, sottolineando che «secondo quanto precisato dagli inquirenti, le analisi di laboratorio effettuate sui campioni prelevati hanno evidenziato il mero annacquamento del prodotto vinoso». Due valutazioni opposte. Il pubblico ministero che conosce tutto della vicenda scatena la caccia a centinaia di migliaia di bottiglie, definendole invece tranquillizza l'Europa e l'Italia: il beverone è innocuo, si tratta solo di una mega frode commerciale.

Cantine fuori legge
Un altro elemento è centrale. Il pm, mentre ordina agli uomini della Forestale e dell'Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (Icq) di effettuare sequestri in 14 cantine sparse per otto regioni italiane e individuare i responsabili di una delle più gravi sofisticazioni degli ultimi anni, contesta agli indagati di Massafra anche l'articolo 440 del codice penale. Articolo che punisce «chiunque corrompe o adultera sostanze destinate all'alimentazione rendendole pericolose per la salute pubblica».

Gli elementi contenuti nel decreto fanno venire i brividi, e confermano alla lettera l'inchiesta del nostro giornale. «Risulta agli atti», insiste il pm Bucchieri, «che rilevantissime quantità, nell'ordine di migliaia di ettolitri, di tale prodotto alterato sia stato inviato a imprese-cantine terze per la verosimile commercializzazione ed imbottigliamento; che è, pertanto, incontestabile il fumus dei reati indicati, per le circostanze di falsificazione documentale unite a quella della più che verosimile adulterazione in quantità industriale, di un prodotto che (già prima dell'ultimo rinvenimento degli ulteriori acidi tossici) comunque risultava sofisticato con i primi "ingredienti" sequestrati ». "Quantità industriale", "acidi tossici": la descrizione di uno scandalo colos**** che minaccia la salute di milioni di consumatori. Secondo le ipotesi d'accusa, il vino adulterato potrebbe arrivare a 700 mila ettolitri, pari a 40 milioni di bottiglie e confezioni destinate al mercato di fascia medio-bassa. Si tratta delle confezioni prodotte da 14 cantine nel periodo settembre 2007-febbraio 2008 con il vino proveniente dagli stabilimenti incriminati di Massafra.

Venerdì pomeriggio De Castro non sembra aver letto il provvedimento-choc. Ha, probabilmente, altro a cui pensare. Le notizie dell'inchiesta Velenitaly hanno fatto irruzione nel salone del Vinitaly di Verona, dove sono presenti produttori e giornalisti di tutto il mondo. L'eco arriva fino a Bruxelles, dove interviene il commissario alla Salute dell'Unione europea, che pretende dall'Italia immediati chiarimenti. L'agitazione è tanta, l'impatto della notizia sul mercato interno ed estero potrebbe avere effetti devastanti. Da Berlino e Tokyo chiedono garanzie. È la seconda volta in pochi giorni che Roma si trova nel mirino delle autorità Ue: prima era stata accusata per l'allarme diossina nelle bufale campane. Le regole europee sono chiare: ogni qual volta si scoprono alimenti pericolosi per la salute, bisogna lanciare immediatamente l'allerta. Ma per le mozzarelle prima, e per il "vino al veleno" poi, la Ue è stata spiazzata dalle notizie che giungevano dalla *****ola. C'è pure il rischio che scatti un embargo all'export, micidiale per l'economia.

Il governo rassicura quindi a strettissimo giro i partner europei. E Bruxelles lunedì 7 diffonde il comunicato del "cessato allarme". «Le indagini escludono la presenza di un rischio sanitario, trattandosi solo di un problema relativo all'annacquamento del mosto con aggiunta di acqua e zucchero di barbabietola», scrive l'Italia nella nota. E aggiunge: «La magistratura ha accertato che si trattava di detenzione di taniche contenenti acido solforico e fosforico per uso agricolo, che non sono stati utilizzati nel mosto e nel vino destinato al consumo». Una dichiarazione contraddetta dal provvedimento di sequestro. E in rotta di collisione con tutto quello che i pm titolari dell'inchiesta avevano dichiarato fino a poche ore prima. Acidi e analisi Mentre l'esecutivo tentava di gestire lo scandalo, il procuratore capo di Verona, Guido Papalia, che coordina il troncone settentrionale dell'inchiesta, rilasciava un'intervista al "Tg 3", sottolineando la presenza di sostanze tossiche e acidi nel vino sequestrato lo scorso dicembre a Veronella.

«Tra i reati c'è sicuramente quello della contraffazione con pericolo della salute pubblica, l'associazione per delinquere e altri reati specifici di contraffazione », precisa davanti alle telecamere. Non è una novità. La presenza degli acidi era evidenziata nel comunicato ufficiale della Forestale del 3 dicembre 2007. Lì si legge, senza giri di parole, che nelle migliaia di ettolitri di vino sequestrati a Veronella, «dagli esami chimici eseguiti presso l'istituto agrario di San Michele all'Adige e il laboratorio dell'Ispettorato centrale antifrodi di Conegliano, è stato accertato l'utilizzo di oltre il 40 per cento di zucchero, il 50 per cento di acqua e la presenza di acido cloridrico e solforico nel mosto». Persino l'Ispettorato centrale, in una anticipazione del rapporto 2007, tra le azioni rilevanti dell'anno appena passato parla di aggiunta «in vini bianchi e rossi di acido cloridrico e solforico». Per questo Bruno Castagna, il proprietario della cantina, è ancora agli arresti domiciliari con l'accusa di avere messo in pericolo la salute pubblica. E anche a Massafra, secondo gli esperti consultati da "L'espresso", la presenza di zucchero rende praticamente certa la presenza di acidi per nascondere l'illecito.

Ma gli investigatori sono convinti che nel mosto sia finita una lista più lunga di sostanze nocive. Per questo il pm tarantino nel decreto di sequestro sostiene che è fondamentale trovare il vino venduto da Massafra per verificare le altre possibili contaminazioni: «Per l'accertamento dei fatti è assolutamente necessaria l'acquisizione delle forniture di tale prodotto, al fine di effettuare gli accertamenti tecnici: analisi chimico fisiche, indagini isotopiche, cloruri, solfati, saccarosio con indicazione della percentuale di arricchimento, ricerca di eventuale presenza di contaminanti, metalli pesanti in particolare».

Ministro in testa coda
La posizione del governo sulla vicenda è altalenante. Seguire la cronologia degli eventi, forse, può essere illuminante. Il ministro De Castro era da tempo a conoscenza dell'inchiesta, e quando giovedì pomeriggio escono le anticipazioni de "L'espresso", non smentisce nemmeno una riga. De Castro è all'inaugurazione del Vinitaly, la più grande esposizione mondiale del settore. Legge le agenzie di stampa, e con il suo entourage sceglie di mettere l'accento sul buon funzionamento dei controlli: «L'inchiesta nei confronti di alcuni produttori vitivinicoli nasce da capillari indagini del Corpo forestale e dall'Ispettorato controllo qualità, entrambe realtà riconducibili al ministero. L'operazione "Vendemmia sicura" è un successo». Il fenomeno, dice il ministro, «è circoscritto, non è andata all'estero neanche una bottiglia, si tratta di vino di modesta qualità non destinato ai mercati stranieri ». Per tutta la giornata parla di «banda di criminali». Venerdì la strategia cambia. In mattinata De Castro è in Puglia, l'epicentro dello scandalo, dove è capolista per il Pd al Senato.

A Foggia deve presenziare a un convegno sull'Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, ma la sua attenzione è puntata su Bruxelles. Sulla Commissione che chiede informazioni urgenti sul vino adulterato: in ballo c'è la credibilità del made in Italy. Così, in un comunicato, senza fare alcun riferimento al devastante provvedimento di sequestro firmato dal pm solo qualche ora prima, gioca in difesa, sottolineando che il vino pugliese è stato semplicemente «annacquato ». Nessun riferimento nemmeno agli acidi trovati a Veronella, la cui presenza è stata già accertata dai laboratori. Non tutti, però, sembrano d'accordo: se in fondo al testo originale del comunicato c'è la firma dell'Ispettorato, manca quella della Forestale, il corpo che ha scoperchiato il vaso di Pandora e seguito il caso dall'inizio. Una dimenticanza? I vertici del Corpo, i cui agenti lavorano all'indagine da mesi, preferiscono defilarsi e si smarcano, in attesa delle analisi definitive su tutti prodotti sofisticati di Massafra. Il paesino pugliese dove il 7 e l'8 aprile De Castro ha tenuto una serie di appuntamenti elettorali, nel rush finale della sua campagna.

Mosto fantasma
L'inchiesta durerà ancora mesi. La Forestale sta entrando nelle 14 cantine indicate nel box qui a sinistra, tutte aziende che secondo le indagini avrebbero comprato il vino adulterato. La bevanda può essere ancora nei silos, può giacere nei magazzini già imbottigliata; ma i lotti più vecchi, quelli di settembre, potrebbero essere finiti sul mercato da un pezzo. Sia in Italia che all'estero: tra le cantine qualcuna esporta anche in Europa. Sia vini rossi che bianchi. La Forestale imporrà che il prodotto "incriminato" già distribuito venga richiamato attraverso le indicazioni di tracciabilità, entro 15 giorni. Non è escluso, però, che gli agenti vadano di persona, una volta identificati i supermarket, a sequestrare le confezioni sotto accusa. Che però potrebbero essere già finite nel bicchiere dei consumatori. Alle 14 cantine non vengono contestati illeciti. Gli inquirenti hanno accertato che dagli impianti di Massafra il "mosto mostro" si muovesse spesso con documentazione falsa. È possibile che gli acquirenti ignorassero le sofisticazioni o persino l'origine del vino a basso costo. Saranno gli sviluppi futuri dell'inchiesta a stabilire eventuali responsabilità dei distributori. Di sicuro, questa indagine sta mettendo in luce la fragilità del sistema: un solo produttore fraudolento può determinare un effetto a catena che mette in crisi stabilimenti di otto regioni. Ditte spesso famose, che hanno confezionato un liquido misterioso.

Come scrive il pm, non si sa nemmeno da dove venga quella "sostanza vinosa" scoperta a Massafra che non merita nemmeno di essere chiamata vino. Le aziende fornitrici indicate nei documenti sono risultate quasi sempre inesistenti: vigneti fantasma. Ed ecco l'ipotesi «in corso di investigazione» che provenga dall'estero, che possa essere stato importato clandestinamente da un altro continente. Non può essere chiamato vino e forse non è nemmeno italiano. Ma rischia di compromettere l'immagine di uno dei tesori del nostro Paese
(09 aprile 2008)

Last edited by breunzo : 04-10-2008 at 02:14 AM.


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Al vampiro piace il rosso
di Emiliano Fittipaldi

La famiglia del re delle truffe e il bresciano che ama il calcio. Due cantine agli antipodi, ma che hanno comprato partite di mosto incriminato. In edicola da venerdì

Silvano Poli,
forse, c'è ricascato. Il vizietto di sofisticare vini non è mai riuscito a perderlo. Non che abbia mai tentato seriamente di smettere: tra gli inquirenti nessuno si stupisce che il "serial killer" dell'adulterazione, che ha alle spalle decine di procedimenti penali aperti da procure di mezz'Italia, possa diventare protagonista nell'indagine sul vino contaminato delle procure di Verona e Taranto. Se Poli, arrestato tre volte in cinque anni, è una vecchia conoscenza dei Nas e della Forestale, Umberto Soldo, vero nome di spicco della lista di 14 imbottigliatori che secondo i pm pugliesi hanno comprato il vino taroccato di Massafra, ha invece un profilo completamente diverso. Proprietario di una delle più grandi aziende vinicole italiane, bresciano e riservatissimo, gestisce un gruppo che fattura quasi 50 milioni di euro l'anno, esporta bottiglie e brik all'estero e, nel tempo libero, colleziona squadre di calcio. Dal Palazzolo, affidato alla moglie-allenatore, a importanti quote del Monaco.

Silvano Poli, per ora, è fuori dall'inchiesta: la cantina che ha comprato il vino adulterato, la Vinicola Santa Croce, è infatti intestata ai suoi tre figli: Alessandro, Giulia e Sofia Elisabetta. Giulia è legata ufficialmente al padre per la partecipazione alla srl Vini La Rocca, unica società rimasta intestata a Silvano. Perché la carriera di Poli è burrascosa, e parte all'inizio degli anni '90, con un ordine di custodia cautelare per l'inchiesta sul vino corretto con metil-isotiocianato. Della banda di sofisticatori facevano parte quattro produttori veneti. «Gli esami di laboratorio dimostreranno che è tutta una montatura, solo allora mi farò vivo», fece sapere Poli, che alle sbarre preferì la latitanza. Gli esperti accertarono senza dubbi che i produttori versavano nel vino un pesticida che fungeva da antifermentativo, ma evidenziarono che le quantità non erano dannose per la salute. L'ipotesi di avvelenamento decadde. Proprio in quelle settimane un altro tribunale, quello di Vicenza, condannò però Poli a un anno di reclusione, con l'accusa di adulterazione di vini. Passano 12 mesi e la serie s'allunga: i giudici di Verona gli infliggono un'altra condanna a un anno e mezzo per l'aggiunta di zuccheri illegali.

La vicenda risaliva al 1986, e la pena fu condonata. I giornali locali si dimenticarono presto di Silvano, ma la tentazione è forte, i vizi difficili da tenere a bada. PoPoli torna alla ribalta nel '95, ormai quarantenne, per un'impresa nuova: il nome è ormai noto, e i carabinieri scommettono che nel sabotaggio alla Zonin c'è la sua mano. Forse accecato dall'invidia per il successo del vicino (Zonin e Poli sono entrambi di Gambellara, paesino vicino Vicenza) o nel tentativo di creare difficoltà a un concorrente, gli investigatori credono sia stato proprio lui a spedire un operaio nella cantina ad aprire i rubinetti di 11 enormi vasche. L'operazione vino-terroristica riuscì: l'azienda si allagò e un milione e 200 mila litri di rosso e bianco Doc vennero sparsi per terra, per un danno di un miliardo e mezzo di lire. Poli fu arrestato, ma alla fine del processo i giudici lo proclamarono innocente. Almeno per questo capo d'imputazione: nello stesso processo, concluso nel 1997, l'accusa riuscì a provare che il sofisticatore, con l'aiuto di più complici, aveva aspirato dalle botti della cantina sociale di Gambellara migliaia di ettolitri di vino, per poi rivenderlo con il marchio della propria azienda agricola. Arrivò la condanna a cinque anni e mezzo e il primo nomignolo nelle pagine di cronaca: i giornalisti che narravano le sue gesta cominciarono a chiamarlo "il Vampiro". Poli, però, non si scoraggia, e negli anni affina meglio le sue tecniche criminali.

Nel 2003 mette in piedi un'organizzazione perfetta, riuscendo a guadagnare milioni in tempi record. La frode è semplice: Poli e compagni acquistano in Puglia economico. vino da tavola, per poi trasformarlo e venderlo come Igt di qualità. Pinot bianco e grigio, Chardonnay e Prosecco. Il vino, che costa 10 mila euro a cisterna, veniva piazzato a 60 mila. Il miracolo della trasformazione da vinaccio in Valpolicella avveniva durante il viaggio in autostrada tramite la falsificazione delle bolle, mentre per la distribuzione erano nate ben otto società fittizie. Poli finisce nuovamente dietro le sbarre, ma la tentazione è più forte della logica. Nonostante i Nas e gli agenti della Forestale del Veneto l'abbiano nel mirino da ormai vent'anni, l'imprenditore di Gambellara ci riprova anche nel 2007: per dare valore aggiunto ai vini comuni, sostiene l'accusa, prova a far viaggiare a vuoto le cisterne, per dimostrare che il vino veniva effettivamente trasferito. Accostare Poli e Umberto Soldo sembra quasi una bestemmia. Le posizioni dovranno essere chiarite da ulteriori indagini, ma per ora sembra certo che anche la Soldo spa, azienda di Chiari, provincia di Brescia, abbia comprato vino proveniente da Massafra. Soldo è un pezzo grosso, uno degli uomini più ricchi della zona, uno degli imbottigliatori più importanti del Paese.

L'azienda vende marchi di fascia medio-bassa in bottiglie e cartoni, circa 50 milioni di pezzi l'anno, collocati, come si legge sul sito, «sul mercato nazionale ed estero». Il Sovinello, il Brichello e il Ceppo Rustico sono i prodotti di battaglia, il Soldo, il Casato e il Palazzoli le etichette più prestigiose. Il bilancio delle cantine è florido: l'attivo, a fine 2006, superava i 30 milioni, i ricavi sfioravano i 45. Dopo tre generazioni la ditta è diventata enorme: 40 mila metri quadri di superficie, cinque linee di imbottigliamento, magazzini imponenti. Un miracolo padano che adesso rischia di venire in qualche modo offuscato - secondo gli atti del pm - dal "mosto-mostro" proveniente da Massafra, accompagnato da documenti falsi che forse hanno ingannato anche un solido professionista. Il nome di Soldo inizia a circolare per la prima volta nel 2005, quando la moglie Elisabetta Piantoni chiede al marito di comprare il Bologna. Già, perché la vera passione della coppia bresciana è il calcio. Un passatempo che Betty, classe 1951, ha ereditato dal papà Giuseppe, presidente del Chiari Calcio per vent'anni. Soldo nel '99 decide di fare una sorpresa alla consorte e compra il Valsabbia, formazione che al tempo militava nell'Eccellenza. Betty si definisce una drogata di pallone, una pasionaria della panchina. «Se mi comporto come una signora in campo? Devo essere sincera, non lo sono molto. Una volta sono stata espulsa dall'arbitro per averlo insultato, mi hanno dato due giornate», ha raccontato in un'intervista. In pochi anni Soldo le regala prima il Rustico Belfiore, poi il Chiari.

L'avventura dura poco, la coppia vende la squadra del cuore puntando soldi e milioni sul Palazzolo, oggi scivolato in Eccellenza, attualmente quinta in classifica a 23 punti dalla capolista. Domenica scorsa ha preso tre gol dal Castegnato: dopo la retrocessione il gruppo ha deciso di stringere la cinghia puntando sui giovani. Ma la provincia stava stretta, così la famiglia Soldo ha diversificato gli investimenti comprando un sostanzioso pacchetto di quote del Monaco, società transalpina ad azionariato diffuso, e tentando di mettere le mani sul Bologna. Le trattative durarono pochi giorni, Umberto preferì non rischiare i soldi del vino con calciatori e stipendi da capogiro. «Quando sembrava che l'operazione potesse concludersi, tutto saltò», chiosò Betty: «Magari, in futuro, ci sarà un'altra occasione».
(09 aprile 2008)


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  #7  
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io sono convinto che dietro tutto il sudiciume conosciuto, quello che si conoscera` e quello mai scoperto, ci sono SEMPRE personaggi importantissimi della politica. e` per questo che si litigano cosi` aspramente per il potere. nessuno lo fa per il bene del popolo.


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