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staff 11-05-2008 03:03 PM

Vogliamo un Obama anche in Italia!
 
Che sia bianco,rosso,verde, vorrei sentire un politico italiano parlare come lui , parole limpide e molto vere...

YES WE CAN!!!


mimmo-44 11-05-2008 07:14 PM

In Italia?????
 
Basta solo ascoltare le parole di Obama dette al suo diretto avversario dopo la vittoria per rendersi conto che siamo distante anni luce.Il nostro pulcinella pur di non dire quelle parole si sarebbe tagliato la lingua,questa e"la differenza. :rolleyes: :rolleyes: ;) ;)

alma 11-05-2008 07:19 PM

E' stato un discorso "da lacrime"...speriamo,speriamo!:)

pietrosanero 11-05-2008 08:03 PM

staff non vorrei contraddirti...

ma se silvio mette un altro po di cerone diventa piu nero di obama :D :D :D

zibibbo 11-05-2008 09:15 PM

Quote:
Originally Posted by alma
E' stato un discorso "da lacrime"...speriamo,speriamo!:)

anche quelli dei nostri fanno piangere :rolleyes:

caneca80 11-05-2008 11:08 PM

A me basterebbe poterlo scegliere "il nostro Obama", senza contare la sua età.

alma 11-05-2008 11:42 PM

Quote:
Originally Posted by caneca80
A me basterebbe poterlo scegliere "il nostro Obama", senza contare la sua età.

Quote!:)
...in modo da appuntar noi i gastaldi!

staff 11-06-2008 12:59 AM

Agosto 2008: il discorso della candidatura. In Italia in un libro della Donzelli.
Barack Obama
C’è un libro di un editore italiano, Carmine Donzelli, che diventerà un bestseller. S’intitola “La promessa americana” (costa 15 euro, per 184 pagine) e raccoglie tutti i discorsi di Barack Obama, dalla “discesa in campo” per la presidenza degli Stati Uniti alla nomination nella Convention dei democratici a Denver. È l'unico del gneere che ci sia in Italia già presente in libreria, anche se da oggi tanti altri libri su Obama arriveranno.
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un discorso molto importante e impegnativo, quello in cui Obama annuncia l'accettazione della candidatura del Partito democratico, il 28 agosto scorso a Denver, nel Colorado.
Il 28 agosto non è una data scelta a caso. È il 45° anniversario, infatti, del discorso noto come quello di "I have a dream" pronunciato a Washington da Martin Luther King. Tra l'altro, il reverendo King diceva: "Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere".
È passato quasi mezzo secolo, ma - fra pochi mesi - due bambine dalla pelle nera correranno nei giardini della Casa Bianca. Qualcosa che va molto al di là del sogno del profeta della rivoluzione pacifista dei neri degli Stati Uniti.



Accetto con profonda gratitudine
Al presidente di quest’assemblea Howard Dean, al mio grande amico **** Durbin, e a tutti i miei concittadini di questo grande paese:
accetto con profonda gratitudine e grande umiltà la candidatura per la presidenza degli Stati Uniti.
Vorrei esprimere il mio ringraziamento al formidabile gruppo di candidati che mi ha accompagnato in questo viaggio, e in special modo a colei che ha fatto la strada più lunga – un modello per gli americani che lavorano e una fonte d’ispirazione per le mie figlie e le vostre – Hillary Rodham Clinton. Al presidente Clinton, che ieri sera ha sostenuto la causa del cambiamento come solo lui sa fare. Ted Kennedy, che incarna lo spirito di servizio.

Grazie a Joe Biden, futuro vicepresidente degli Stati Uniti
E vorrei dire grazie al futuro vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Sono grato di poter concludere questo viaggio in compagnia di uno dei migliori statisti del nostro tempo, un uomo a suo agio con tutti, dai grandi leader del mondo fino ai controllori dei treni dell’Amtrak1, che tuttora prende ogni sera per rientrare a casa.
Grazie, infine, all’amore della mia vita, la nostra futura first lady, Michelle Obama, e a Sasha e Malia. Vi amo tanto, e sono veramente orgoglioso di voi tutte.


Un ragazzo del Kenya e una ragazza del Kansas
Quattro anni fa mi sono presentato a voi e vi ho raccontato la mia storia – quella della breve unione tra un ragazzo del Kenya e una ragazza del Kansas che non erano né benestanti né conosciuti, ma avevano una convinzione comune, che il loro figlio in America avrebbe potuto realizzare qualunque cosa avesse voluto.
È questa promessa che ha sempre contraddistinto il nostro paese – la promessa che, a costo di fatica e sacrifici, ognuno di noi può inseguire il suo personale sogno ma sempre restando unito agli altri come in un’unica famiglia americana, per far sì che la generazione successiva possa a sua volta inseguire i propri sogni.
Ecco perché sono qui stasera. Perché per duecentotrentadue anni, ogni volta che questa promessa è stata messa a repentaglio, uomini e donne comuni – studenti e soldati, agricoltori e insegnanti, infermiere e portinai – hanno trovato il coraggio di mantenerla viva.

La nazione è in guerra, l'economia in subbuglio
Oggi ci troviamo in uno di quei momenti decisivi – un momento in cui la nazione è in guerra, l’economia in subbuglio, e la promessa americana è di nuovo minacciata.
Mentre siamo qui stasera, cresce il numero di americani che stanno perdendo il lavoro e di quelli costretti a lavorare di più per guadagnare di meno. Molti di voi sono rimasti senza casa e molti altri assistono al crollo del valore di quella che posseggono. Molti di voi hanno automobili che non possono più permettersi di guidare, saldi delle carte di credito che non possono più permettersi di pagare, e tasse scolastiche inavvicinabili.
Queste difficoltà non sono tutte dovute al governo. Ma l’impossibilità di reagire ad esse è il frutto diretto della politica marcia di Washington e delle scelte fallimentari di George W. Bush.
America, noi siamo meglio di questi ultimi otto anni. Siamo una nazione migliore di così.
Questo è un paese più premuroso di quello in cui una donna dell’Ohio, alle soglie della pensione, si ritrova malata e perciò sull’orlo del baratro dopo una vita di duro lavoro.
Questo è un paese più generoso di quello in cui un uomo dell’Indiana è costretto a smontare la fabbrica in cui lavora da vent’anni, per vedersela portar via fino in Cina, e che se ne sta muto a guardare mentre quell’uomo spiega il suo senso di fallimento alla famiglia quando rincasa per raccontare la notizia.
Noi siamo più sensibili di un governo che lascia i veterani a dormire per strada e le famiglie a scivolare nella povertà; un governo che se ne sta con le mani in mano mentre una delle maggiori città d’America affoga sotto i nostri stessi occhi.

Questo è il momento della Promessa americana
Stasera, io dico al popolo americano, ai democratici, ai repubblicani e agli indipendenti sparsi in questo grande paese – basta! Questo momento – queste elezioni – sono la nostra occasione per mantenere viva, nel XXI secolo, la promessa americana. La prossima settimana, infatti, nel Minnesota, lo stesso partito che vi ha regalato due mandati di George Bush e **** Cheney ne chiederà ancora un terzo. E se siamo qui è perché amiamo troppo questo paese per lasciare che i prossimi quattro anni siano come gli ultimi otto. Il 4 novembre, dobbiamo alzarci in piedi e dire: «Otto bastano».
Non dev’esserci però alcun dubbio. Il candidato repubblicano, John McCain, ha portato l’uniforme del nostro paese con coraggio e valore, e per questo noi gli dobbiamo gratitudine e rispetto. La prossima settimana ci sentiremo anche raccontare di tutte quelle volte che lui ha rotto col partito, a dimostrazione di quanto egli sia in grado di promuovere il cambiamento di cui abbiamo bisogno.
Ma resta un dato di fatto: John McCain ha votato come George Bush nel novanta per cento dei casi. Al senatore McCain piace tanto parlare di saggezza, ma diciamoci la verità: che ne è della tua saggezza se nel novanta per cento dei casi concordi con George Bush? Non so voi, ma a me non sta bene accontentarmi di un dieci per cento di possibilità di cambiamento.
La verità è che, su ogni questione in grado di fare la differenza per la vostra vita – la sanità, l’istruzione, l’eco*no*mia –, il senatore McCain è stato tutto meno che indipendente. Egli ha detto che la nostra economia ha fatto «grandi progressi» sotto questa presidenza. Ha affermato che le basi dell’economia sono solide. E quando uno dei suoi principali consiglieri – l’uomo che ha redatto il suo programma economico – ha accennato all’ansia degli americani, lui ha detto che la nostra era solo «una recessione mentale», e che siamo diventati, cito testualmente, «una nazione di piagnucoloni».
Una nazione di piagnucoloni? Prova a dirlo ai fieri metalmeccanici di un impianto del Michigan che, appena saputo dell’imminente chiusura, hanno continuato a presentarsi in fabbrica tutti i giorni e a lavorare sodo come al solito, perché sapevano che c’era gente che aspettava quei freni che fabbricavano loro. Prova a dirlo alle famiglie dei militari che si trascinano in silenzio il loro fardello, mentre vedono i loro cari partire per il terzo, quarto o quinto richiamo alle armi. Questi non sono piagnucoloni. Lavorano duro, fanno la loro parte e vanno avanti senza lamentarsi. Sono questi gli americani che conosco io.

Il senatore McCain non sa quello che succede agli americani
Non penso però che al senatore McCain non importi nulla di ciò che sta accadendo alle vite degli americani. Penso solo che non lo sa. Come potrebbe altrimenti definire come classe media quella che guadagna meno di cinque milioni di dollari all’anno? Come potrebbe altrimenti proporre centinaia di miliardi di riduzione fiscale per le grandi aziende e le compagnie petrolifere e neppure un penny di tasse in meno per oltre cento milioni di americani? Come potrebbe altrimenti presentare un piano per la sanità che finirebbe col tassare i benefici offerti ai cittadini, o un progetto per l’istruzione che non aiuterebbe in nessun modo le famiglie a pagare la scuola, o un programma che intende privatizzare i sistemi previdenziali e giocare d’azzardo con le vostre pensioni? Il punto non è che a John McCain non importa. È che John McCain non lo sa.
Da più di vent’anni sottoscrive quella vecchia e logora filosofia repubblicana – dare sempre di più a coloro che hanno di più e sperare che quella ricchezza si estenda goccia a goccia a tutti gli altri.


Perdi il lavoro? Peggio per te
A Washington la chiamano la «società dei proprietari», di fatto significa ciascuno per sé. Perdi il lavoro? Peggio per te. Niente assistenza sanitaria? Ci penserà il mercato. Nasci povero? Rimboccati le maniche, anche se non hai neppure la camicia. Ciascuno per sé.
Bene, è tempo che ciascuno di loro si prenda la sua sconfitta. Per noi è il tempo di cambiare l’America.
Ecco perché sono in corsa per la presidenza degli Stati Uniti.
Vedete, noi democratici abbiamo un metro del tutto diverso per misurare il progresso in questo paese.


Il nostro modo di misurare il progresso
Noi misuriamo il progresso in base a quante persone riescono a trovare un lavoro con cui poter pagare il mutuo; in base a quanto ognuno riesce a mettere da parte alla fine di ogni mese, così che un giorno vedrà il figlio prendere una laurea. Noi misuriamo il progresso in base ai ventitre milioni di posti di lavoro creati quando Bill Clinton era presidente – quando la famiglia media americana vide il suo reddito toccare i 7500 dollari al mese, piuttosto che calare a 2000, come è avvenuto con George Bush.
Noi misuriamo la forza della nostra economia non in base al numero di miliardari o ai profitti delle 500 aziende che compaiono nella classifica di «Fortune», ma in base al fatto che qualcuno, con una buona idea, possa decidere di rischiare e avviare una nuova attività, o che la cameriera che vive delle mance che racimola possa prendersi un giorno di ferie per accudire il figlio malato senza perdere il lavoro – un’economia in grado di onorare la dignità del lavoro.
Il nostro criterio di base per misurare la nostra forza economica è se teniamo o meno fede a quella fondamentale promessa che ha fatto grande questo paese – una promessa che è l’unica ragione per cui mi trovo qui stasera.

Le facce dei giovani che tornano dall'Iraq
Perché nelle facce di quei giovani veterani che tornano dall’Iraq e dall’Afghanistan rivedo mio nonno, che si arruolò dopo Pearl Harbor, marciò nell’esercito di Patton, e come ricompensa da una nazione che gli era grata ebbe l’opportunità di studiare con il GI Bill3.
Davanti a quello studente che dorme solo tre ore prima di montare al turno di notte, ripenso a mia madre, che ha cresciuto da sola me e mia sorella lavorando e intanto guadagnandosi una laurea; e che pur vedendosi a un certo punto costretta a ricorrere ai sussidi è riuscita lo stesso a mandarci nelle migliori scuole del paese grazie ai prestiti per l’istruzione e alle borse di studio.
Quando sento l’ennesimo lavoratore che racconta della sua fabbrica chiusa, ricordo tutti gli uomini e le donne della zona sud di Chicago che ho difeso e per i quali ho lottato vent’anni fa, via via che chiudevano i loro impianti siderurgici.


Mia nonna, scavalcata per anni perché donna
E quando sento una donna che racconta le sue difficoltà ad avviare un’attività in proprio, ripenso a mia nonna, che si è fatta strada da sola arrivando da segretaria a dirigente, ma dopo essersi vista scavalcare per anni per il solo fatto di essere donna. È lei che mi ha insegnato a lavorare sodo. È lei che rinunciava a un’auto o a un abito nuovi perché io potessi avere una vita migliore. Lei ha riversato in me tutto ciò che aveva. E anche se adesso non può più viaggiare, so che stasera ci sta guardando, e che questa è anche la sua serata.
Ora non so che genere di vita debbano condurre le celebrità secondo John McCain, ma questa è stata la mia. Questi sono i miei eroi. Queste sono le storie che mi hanno plasmato. Ed è per loro che intendo vincere queste elezioni e mantenere viva la nostra promessa come presidente degli Stati Uniti.

Che cos'è la Promessa americana?
Cos’è questa promessa? È la promessa secondo cui ciascuno di noi ha la libertà di fare ciò che vuole della propria vita, ma tutti quanti abbiamo il dovere di trattare gli altri con dignità e rispetto.
È la promessa secondo cui il mercato deve remunerare l’iniziativa, l’innovazione e la crescita, ma le aziende devono assumersi la responsabilità di creare posti di lavoro in America, di farsi carico dei lavoratori americani, e di operare nel rispetto delle regole.
È la promessa secondo cui il governo non può risolvere tutti i nostri problemi, ma ha il dovere di fare tutto ciò che noi non possiamo fare da soli – proteggerci e assicurare a ogni bambino un’istruzione adeguata; garantire che la nostra acqua sia pulita e i giocattoli sicuri; investire in nuove scuole, nuove strade, nuove ricerche scientifiche e tecnologiche.


Il governo deve lavorare per noi, non contro di noi
Il nostro governo deve lavorare per noi, non contro di noi. Deve aiutarci, non danneggiarci. Deve offrire opportunità non solo a coloro che hanno più soldi e più influenza, ma a ogni americano che abbia voglia di lavorare.
È questa la promessa dell’America – l’idea che ognuno risponde di se stesso, ma che possiamo risollevarci o cadere come una sola nazione; la convinzione profonda che io devo prendermi cura di mio fratello, devo prendermi cura di mia sorella.
È questa la promessa che dobbiamo mantenere. È questo il cambiamento di cui abbiamo bisogno adesso. Perciò voglio dirvi ora con chiarezza che intendo per cambiamento se sarò presidente.
Cambiamento significa avere un sistema fiscale di cui beneficiano non solo i lobbisti che lo hanno appoggiato, bensì i lavoratori americani e le piccole imprese che se lo meritano.
A differenza di John McCain, io taglierò gli sgravi fiscali alle aziende che esportano il lavoro oltre confine, e comincerò a concederli alle società che creano buoni posti di lavoro qui in America.
Eliminerò il prelievo sui capital gains delle piccole imprese e sull’avviamento di aziende destinate a creare i lavori di domani ad alta remunerazione e tecnologia.


Ridurrò le tasse al 95% delle famiglie che lavorano
Ridurrò le tasse – udite bene – al 95 per cento delle famiglie che lavorano. Perché in un’economia come questa, l’ultima cosa da fare è alzare le tasse alla classe media.
E per il bene della nostra economia, della sicurezza, e del futuro del nostro pianeta, da presidente indicherò un obiettivo chiaro: entro dieci anni, metteremo la parola fine alla nostra dipendenza dal petrolio del Medio Oriente.
Sono trent’anni che Washington parla della nostra dipendenza dal petrolio, e John McCain è lì da ben ventisei. In tutto questo tempo, egli ha sempre detto no all’abbassamento dei tetti di consumo delle auto, no agli investimenti in fonti di energia rinnovabili, no ai carburanti rinnovabili. E oggi noi importiamo il triplo del petrolio che importavamo il giorno in cui il senatore McCain ha assunto il suo incarico.
È giunto il momento di mettere fine a questa dipendenza, e di capire che quella della trivellazione è una misura tampone, non una soluzione a lungo termine. E neppure a breve.


Investirò 150 miliardi di dollari in fonti di energia rinnovabili
Da presidente, farò ricorso alle nostre riserve di gas naturale, investirò in tecnologie a carbone pulito, sperimenterò le possibili modalità per sfruttare in sicurezza l’energia nucleare. Aiuterò le nostre industrie automobilistiche a rinnovarsi, cosicché le auto a basso consumo del futuro vengano costruite proprio qui in America. Farò in modo che queste nuove auto siano più accessibili al popolo americano. E investirò 150 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni in fonti di energia compatibili e rinnovabili – l’energia eolica e solare e i biocombustibili di futura generazione; un investimento che comporterà la creazione di nuove industrie e cinque milioni di nuovi posti di lavoro che saranno ben remunerati e non potranno mai essere esternalizzabili.
America, non è più il tempo dei piccoli progetti.

Ogni bambino avrà un'istruzione di livello internazionale
È giunto ormai il momento di adempiere al nostro dovere morale di garantire a ogni bambino un’istruzione di livello internazionale, poiché è questa l’unica cosa che serve per competere nell’economia globale. Se io e Michelle siamo qui stasera è solo perché abbiamo avuto l’op*por*tunità di avere un’istruzione. E io non mi accontenterò di un’America in cui ci sono bambini privi di questa opportunità. Investirò nell’istruzione per la prima infanzia. Recluterò un esercito di nuovi insegnanti, che remunererò con stipendi più alti e a cui darò maggiore sostegno. E in cambio chiederò loro livelli più alti e maggiore affidabilità. E così manterremo la nostra promessa a ogni giovane americano – se ti impegni al servizio della comunità o del paese, faremo in modo che tu possa permetterti un’istruzione universitaria.

Assistenza sanitaria accessibile per ogni americano
È giunto finalmente il tempo di mantenere la promessa di un’assistenza sanitaria sostenibile e accessibile a ogni singolo americano. Se già avete l’assistenza sanitaria, il mio piano prevede di ridurne i costi. Se non l’avete, la potrete ottenere godendo dello stesso tipo di trattamento che i membri del Congresso hanno garantito a se stessi. E avendo fatto l’esperienza di vedere la propria madre lottare con le compagnie assicurative da un letto in punto di morte per un cancro, vigilerò affinché queste compagnie la smettano di discriminare i malati che più hanno bisogno di cure.
È giunto il tempo di dare sostegno alle famiglie con il diritto ai congedi e alle aspettative per malattia, perché nessuno in America dovrà più essere costretto a scegliere se tenersi l’impiego o assistere un figlio malato o un genitore sofferente.
È giunto il tempo di cambiare il nostro diritto fallimentare, e garantire che le vostre pensioni vengano prima delle indennità dei dirigenti; e di salvaguardare la copertura previdenziale per le future generazioni.
Ed è giunto il tempo di realizzare la promessa di un pari salario per una pari giornata di lavoro, perché io voglio che le mie figlie abbiano le stesse identiche opportunità dei vostri figli.
Ma molti di questi programmi avranno un costo, ecco perché ho predisposto un programma che li spesi fino all’ultimo centesimo – impedendo ogni scappatoia societaria e quei paradisi fiscali che non aiutano la crescita dell’America. Ma andrò anche a spulciare riga per riga il bilancio federale, per eliminare i progetti che non servono più e approntarne altri più necessari e a costi minori – poiché non possiamo affrontare le sfide del XXI secolo con la burocrazia del XX.

Kennedy e la nostra forza intellettuale e morale
Democratici, noi dobbiamo anche ammettere che per realizzare la promessa dell’America ci vorrà ben di più che il denaro. Ci vorrà un rinnovato senso della responsabilità in ciascuno di noi, per ripristinare quella che John F. Kennedy chiamò la nostra «forza intellettuale e morale». Certo, il governo deve guidarci verso l’indipendenza energetica, ma ognuno di noi dovrà fare la sua parte per evitare gli sprechi a casa e in ufficio. Certo, dobbiamo dare più opportunità di realizzazione ai giovani che si lasciano andare a una vita criminosa e disperata. Ma dobbiamo anche ammettere che i programmi di governo da soli non possono rimpiazzare i genitori; che non può essere il governo a spegnere la tv e a convincere una bambina a fare i compiti; che i padri devono assumersi più responsabilità per dare ai figli l’amore e la guida di cui hanno bisogno.
La responsabilità individuale e quella verso gli altri – è questa l’essenza della promessa dell’America.
E così come manteniamo in casa nostra la promessa fatta alla prossima generazione, dobbiamo mantenere la promessa dell’America oltre confine. Se John McCain vuol fare un dibattito su chi abbia più carattere e saggezza per prestare il proprio servizio come prossimo comandante supremo, eccomi, sono pronto.


Dopo l'11 settembre mi sono battuto contro la guerra in Iraq
Poiché, mentre a pochi giorni dall’11 settembre il senatore McCain volgeva lo sguardo verso l’Iraq, io mi battevo contro la guerra, ben sapendo che avrebbe distolto la nostra attenzione dalle reali minacce che avevamo di fronte. Quando John McCain diceva che potevamo «cavarcela con poco» in Afghanistan, io mi battevo per più risorse e più soldati per portare a termine la battaglia contro i terroristi che ci avevano realmente attaccato l’11 settembre, e sostenevo chiaramente che dobbiamo prendere Osama bin Laden e i suoi colonnelli se li abbiamo nel mirino. John McCain ama dire che inseguirà Bin Laden fino alle porte dell’inferno: basterebbe andare nella caverna in cui vive.
E ancora oggi, che il mio appello a fissare un calendario per il rimpatrio delle truppe ha trovato eco presso il governo dell’Iraq e persino presso l’amministrazione Bush, e che abbiamo appreso che l’Iraq ha un avanzo di bilancio di 79 miliardi di dollari mentre noi annaspiamo nei nostri deficit, John McCain insiste solitario nel suo rifiuto di mettere fine a una guerra sbagliata.
Non è questa la saggezza di cui abbiamo bisogno. Essa non metterà al sicuro l’America. Abbiamo bisogno di un presidente che sappia affrontare le sfide del futuro, e non resti aggrappato alle idee del passato.
Non si sconfigge una rete terroristica che opera in ottanta paesi occupando l’Iraq. Non si protegge Israele e non si dissuade l’Iran limitandosi a fare la voce grossa a Washington. Non si può sostenere davvero la Georgia, dopo aver deteriorato le nostre vecchie alleanze. Se John McCain vuol seguire le orme di George Bush facendo sempre più la voce grossa e le strategie sbagliate, è libero di farlo – ma non è il cambiamento di cui hanno bisogno gli americani.

Siamo il partito di Roosevelt e di Kennedy
Noi siamo il partito di Roosevelt. Siamo il partito di Kennedy. Perciò non mi si venga a dire che i democratici non difenderanno questo paese. Non mi si venga a dire che i democratici non ci metteranno al sicuro. La politica estera di Bush e McCain ha sperperato l’eredità che generazioni di americani – democratici e repubblicani – hanno costruito, e noi ora siamo qui per ricostruire quell’eredità.
Da comandante supremo, non esiterò mai a difendere questa nazione, ma se metterò a rischio le nostre truppe, sarà solo per una missione chiara e a fronte del sacrosanto impegno di fornire loro l’equipaggiamento necessario in battaglia, e le indennità cui hanno diritto al loro rientro.


Metterò fine alla guerra in Iraq
Metterò fine in modo responsabile alla guerra in Iraq, e porterò a termine la lotta contro al Qaeda e i talebani in Afghanistan. Ricostruirò il nostro apparato militare per adeguarlo alle sfide del futuro. Ma ripristinerò anche una solida e diretta diplomazia in grado di dissuadere l’Iran dal costruire armi nucleari e di frenare l’aggressività russa. Costruirò nuove alleanze per sconfiggere le minacce del XXI secolo: il terrorismo e il proliferare della minaccia nucleare, la povertà e i genocidi, il cambiamento climatico e le malattie. E ripristinerò la nostra forza morale, cosicché l’America torni a essere l’ultima e più ambita speranza per quanti difendono la causa della libertà, aspirano a vivere nella pace, e si auspicano un futuro migliore. Sono queste le politiche che perseguirò. E non vedo l’ora di discuterne con John McCain nelle prossime settimane.
Quel che invece non intendo fare è insinuare che il senatore prenda le sue posizioni a scopi elettorali. Infatti, una delle cose da cambiare nella nostra politica è l’idea che non si possano avere opinioni divergenti senza per questo mettere in dubbio il carattere e il patriottismo degli altri.
I tempi sono troppo difficili, la posta in gioco troppo alta, per continuare con lo stesso copione di parte. Dobbiamo tutti accettare che il patriottismo non ha un partito. Io amo questo paese, così come voi, così come John McCain. Gli uomini e le donne che compiono il loro dovere sul campo di battaglia saranno magari democratici, repubblicani o indipendenti, ma hanno combattuto tutti insieme, hanno versato il loro sangue tutti insieme e in tanti sono morti sotto la stessa orgogliosa bandiera. Non hanno servito l’America rossa o l’America blu4 – hanno servito gli Stati Uniti d’America.
Perciò ho una notizia per te, John McCain. Tutti quanti mettiamo al primo posto il paese.

America, il compito non sarà facile
America, il nostro compito non sarà facile. Le sfide che abbiamo di fronte richiedono scelte difficili, e tanto i democratici che i repubblicani dovranno fare piazza pulita delle idee e delle politiche logore del passato. Poiché parte di ciò che è andato perduto in questi ultimi otto anni non può essere misurato in termini di minori salari o di maggiore deficit della bilancia commerciale. Ciò che è andato perduto è anche il nostro senso di un obiettivo comune – di un obiettivo più alto. Ed è questo che dobbiamo ritrovare.
Magari avremo divergenze di vedute sull’aborto, ma di certo saremo d’accordo sulla necessità di ridurre il numero di gravidanze indesiderate in questo paese. La realtà del porto d’armi sarà anche diversa per i cacciatori delle foreste dell’Ohio e per coloro che subiscono la violenza delle bande criminali a Cleveland, ma non mi si venga a dire che non si rispetta il secondo emendamento se si levano i kalashnikov ai delinquenti. So che esistono divergenze sui matrimoni fra persone dello stesso sesso, ma di certo possiamo concordare che i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche hanno diritto ad assistere le persone che amano in ospedale e a vivere una vita senza discriminazioni. Gli animi si accendono sull’immigrazione, ma non vedo chi possa trarre vantaggio dal fatto che una madre venga separata dal suo bambino o che un imprenditore riduca i costi del lavoro affidandolo a operai clandestini. Anche questo fa parte della promessa dell’America – la promessa di una democrazia in cui possiamo trovare la forza e la serenità di gettare un ponte sulle divergenze per radunarci attorno a uno sforzo comune.
So che c’è chi liquida queste convinzioni come belle parole. So che si dice che il nostro insistere su qualcosa di più ampio, più costruttivo e più onesto nella vita pubblica non è che un cavallo di Troia per arrivare a tasse più alte e all’abbandono dei valori tradizionali. Ed è ovvio. Perché se non hai nessuna idea fresca, non puoi che ricorrere alle tattiche stantie buone solo a spaventare gli elettori. Se non hai un obiettivo a cui puntare, puoi solo dipingere il tuo avversario come qualcuno da cui la gente farebbe meglio a scappare.
Puoi solo sprecare una grande elezione con piccole questioni.
E sapete una cosa? In passato ha funzionato. Perché ha fatto leva sullo scetticismo che tutti noi nutriamo verso il governo. Quando Washington non funziona, tutte le sue promesse sembrano vane. Se le tue speranze vengono continuamente spazzate vie, allora farai meglio a smettere di sperare, e ad aggrapparti a quel che già conosci.

Non sono il candidato più ovvio per fare il presidente
Lo capisco. Mi rendo conto di non essere il candidato più ovvio per questa carica. Non ho il tipico curriculum, e non ho fatto carriera nelle aule di Washington.
Ma se stasera sono qui davanti a voi è perché qualcosa si muove in America. Quel che i miei oppositori non capiscono è che queste elezioni non riguardano me. Riguardano voi.
Da diciotto lunghi mesi, voi vi alzate in piedi, uno dopo l’altro, per dire basta alla politica del passato. Voi avete capito che in queste elezioni il rischio più grosso che corriamo è di puntare sulla vecchia politica di sempre, con i vecchi protagonisti di sempre, e di aspettarci un risultato diverso. Voi avete dimostrato quel che la storia ci insegna – che, in momenti decisivi come questo, il cambiamento di cui abbiamo bisogno non viene da Washington. Il cambiamento va a Washington. Il cambiamento avviene perché il popolo americano lo pretende – perché la gente si alza in piedi e chiede idee nuove, persone nuove e una politica nuova per un tempo nuovo.
America, questo è uno di quei momenti.

Il cambiamento di cui abbiamo bisogno sta arrivando
Io credo che per quanto sia difficile, il cambiamento di cui abbiamo bisogno stia arrivando. Perché l’ho visto. Perché l’ho vissuto. L’ho visto in Illinois, dove abbiamo garantito l’assistenza sanitaria a sempre più bambini e abbiamo portato sempre più famiglie dai sussidi al lavoro. L’ho visto a Washington, dove da opposti schieramenti siamo riusciti a collaborare per incalzare il governo e pretendere maggiore responsabilità dalle lobby, al fine di dare maggiore assistenza ai nostri veterani e di tenere le armi nucleari lontano dai terroristi.
E l’ho visto in questa campagna. Tra i giovani che hanno votato per la prima volta, e coloro che si sono lasciati coinvolgere di nuovo dopo lungo tempo. Tra i repubblicani che mai avrebbero pensato di scegliere un democratico alle primarie, e invece l’hanno fatto. L’ho visto tra gli operai pronti a ridurre il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere i loro amici restare senza, tra i soldati che sono ritornati in servizio dopo un’amputazione, tra i vicini generosi che accolgono un estraneo quando si abbatte un uragano e le acque si ingrossano.
Il nostro paese ha più ricchezze di qualunque altra nazione, ma non è questo che ci rende ricchi. Abbiamo l’apparato militare più potente della terra, ma non è questo che ci rende forti. Le nostre università e la nostra cultura fanno invidia al mondo, ma non è questo che continua a spingere il mondo alle nostre porte.
È invece il nostro spirito americano – quella promessa americana – che ci sprona in avanti anche quando la strada è incerta; che ci tiene uniti malgrado le differenze; che ci porta a fissare lo sguardo non verso ciò che si vede, ma verso ciò che non si vede, verso quel posto migliore che sta dietro l’angolo.
Quella promessa è il nostro più grande retaggio. È una promessa che faccio alle mie figlie quando rimbocco le loro coperte la sera, e una promessa che voi fate ai vostri – una promessa che ha portato migranti ad attraversare gli oceani e pionieri a viaggiare verso l’Ovest; una promessa che ha spinto operai a fare i picchetti e donne a conquistare il diritto di voto.

45 anni fa, davanti al monumento di Lincoln...
Ed è una promessa che in questo stesso giorno di quarantacinque anni fa ha spinto americani di ogni parte del paese a ritrovarsi tutti in un viale di Washington, davanti al monumento a Lincoln, per ascoltare un giovane predicatore della Georgia che parlava del suo sogno.
Gli uomini e le donne radunatisi lì avrebbero potuto sentire molte cose. Avrebbero potuto sentire parole di rabbia e di odio. Avrebbero potuto sentirsi dire di accettare la paura e la frustrazione per i loro sogni continuamente rinviati.
Ma quel che invece quella gente ha sentito – gente di qualsiasi credo e colore, con qualsiasi storia alle spalle – è che in America, i nostri destini sono indissolubilmente legati. Che insieme, i nostri sogni possono essere uno solo.

"Non possiamo camminare da soli..."
«Non possiamo camminare da soli», gridava quel giovane predicatore. «E mentre camminiamo dobbiamo assumere l’impegno solenne di continuare sempre a marciare. Non possiamo voltarci indietro».
America, non possiamo voltarci indietro. Non con tutto il lavoro che c’è da fare. Non con tutti quei bambini a cui dare un’istruzione, e tutti quei veterani da assistere. Non con un’economia da rimettere in piedi e città da ricostruire e distese agricole da salvare. Non con tutte quelle famiglie da sostenere e tutte quelle vite da recuperare. America, non possiamo voltarci indietro. Non possiamo camminare da soli. In questo momento, in queste elezioni, dobbiamo assumere ancora una volta l’impegno solenne di marciare verso il futuro. Manteniamo perciò quella promessa – la promessa americana – e come dicono le Scritture teniamo ben stretta, senza esitare, la speranza che professiamo.
Grazie. Che Dio vi benedica, e benedica gli Stati Uniti d’America.

alma 11-06-2008 01:10 AM

Se permetti:)...Bravo!
E per facilitare la ricerca di questo bel libro...eccolo.
...e senza cresta! :p :D :p

Malcom1875 11-08-2008 05:46 PM

Quote:
Originally Posted by staff
Che sia bianco,rosso,verde, vorrei sentire un politico italiano parlare come lui , parole limpide e molto vere...

YES WE CAN!!!




Se i politici avessero più attributi, ciò sarebbe possibile. Ma i nostri politici sonon troppo legati al mondo della finanza ed degli affari.


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