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questo discorso vale piu` per la yespica :p che per te, magiko. con tutto il rispetto. :D :D :D :D |
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il tuo problema è che paghi il canone! x questo non vedi niente! :D :D :D |
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sui fiammiferi c'è il monopolio. sugli accendini non saprei sinceramente dato che il bollino appiccicato non c'è |
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Sugli accendini c'è la tassa sul "Vù Cumprà" :D |
quindi anche per chi ha il cellulare di ultima generzione? visto che hanno la radio e si prendono le stazioni radio rai?
mah... |
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la preferita di BORGHEZIO!!! |
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sì, proprio così |
Caro Magiko!
se vuoi rimanere in mutande, metti quelle di acciaio corazzate anticarro ,perche questi son capaci di tutto!!! :D :D :rolleyes: :rolleyes:
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A DISTANZA di settant'anni, qualsiasi tassa o balzello imposto in forza di un regio decreto del 1938 risulterebbe tanto anacronistico quanto iniquo e inaccettabile. E a maggior ragione lo è, o almeno così appare, la richiesta di pagare il canone Rai rivolta a chiunque detenga un "apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle radioaudizioni", con la pretesa di comprendere in questo armamentario perfino i personal computer dotati di una scheda video e addirittura i videofonini.
In primo luogo, perché la norma parla letteralmente di "radioaudizioni" e quindi andrebbe come minimo corretta e aggiornata; in secondo luogo, perché la funzione principale e spesso esclusiva di questi apparecchi non è quella di ricevere programmi televisivi, bensì comunicazioni telematiche o telefoniche. Per esigere il canone Rai, bisognerebbe dimostrare perciò che pc e telefonini vengono utilizzati come un televisore e per il tempo in cui ciò eventualmente avviene. Tanto più che per collegarsi a Internet o a una qualsiasi rete telefonica, occorre già abbonarsi a un "provider" pagando direttamente o indirettamente i relativi consumi. È semmai ai fornitori di connessione che l'azienda di Stato dovrebbe chiedere quindi i diritti sui propri contenuti, se e quando questi vengono trasmessi o comunque fruiti attraverso i rispettivi network. Dal '38 a oggi, evidentemente la tecnologia nel settore delle telecomunicazioni è troppo cambiata per invocare un regio decreto ingiallito dal tempo e dalla polvere. Ed è chiaro che i diritti televisivi - per la Rai come per qualsiasi altro produttore - vanno tutelati a monte, alla fonte, prima che possano arrivare al destinatario o al consumatore finale. Al giorno d'oggi non appare più attuale, cioè adeguata all'evoluzione degli strumenti e anche dei costumi, neppure l'ipotesi di una tassa sull'acquisto del singolo televisore in cambio dell'abolizione del canone: in qualsiasi famiglia, abitazione o ufficio, gli apparecchi per vedere la tv sono più d'uno e non sarebbe ragionevole che un unico soggetto fosse costretto di fatto a pagare come una pluralità di utenti. Né tantomeno sarebbe immaginabile, per le ragioni già dette, che un tale criterio venisse esteso e applicato ai pc e ai videofonini, parificandoli automaticamente ai televisori. La verità è che questa assurda controversia dimostra una volta di più la crisi esistenziale in cui si dibatte la Rai. È vero che in tutti i Paesi democratici, dall'Europa all'America, esiste ancora il servizio pubblico radiotelevisivo; che ovunque si paga l'abbonamento e il canone è più alto che in Italia; e infine, che anche in questo l'evasione da noi risulta più ampia. Ma non è con i decreti del Regno che oggi la Repubblica italiana può pretendere legittimamente una tassa generalizzata sulla televisione, uguale per tutti, indipendentemente dal reddito individuale di ciascuno e per ciò stesso iniqua. A parte la soluzione tecnologica che dev'essere individuata e introdotta all'origine, in modo da impedire lo sfruttamento abusivo dei diritti tv, è necessario innanzitutto ridefinire l'identità della Rai, il suo ruolo e la sua funzione istituzionale, per assicurare la credibilità del servizio pubblico liberandola dalla doppia schiavitù alla politica e alla pubblicità. E di conseguenza, per garantire la qualità della sua produzione e programmazione, sempre più omologate allo standard della televisione commerciale. Altrimenti, nessun decreto o nessuna legge sarà sufficiente per imporre d'autorità ai cittadini-telespettatori il rispetto della tv di Stato. www.repubblica.it |
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