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La rivoluzione della pubblicità


La rivoluzione della pubblicità

L'epicentro: nuove tecnologie digitali e consumatori della seconda generazione

La pubblicità tradizionale, martellante e a colpi di spot, si sta dimostrando sempre meno efficace. È vero, c'è la crisi economica che svuota i salvadanai delle famiglie. Ma non è solo questo. Il pubblico, aiutato dalla tecnologia digitale, sviluppa anticorpi che gli consentono di ridurre la sua esposizione al bombardamento. Con il sistema Tivo, per esempio, gli spettatori americani possono impostare la registrazione dei programmi saltando preventivamente gli spot. E da noi? Un Tivo vero e proprio in Italia non esiste, ma gli abbonati alla televisione via Internet di Fastweb, per esempio, sono in grado di ottenere un risultato simile pigiando il tasto «avanti veloce» dopo aver registrato il programma; ed evitare in questo modo la pubblicità.

In poche parole, come dice qualcuno, c'è un consumatore che non vuole più farsi consumare. Tutto ciò naturalmente non rende felicissimi i venditori di prodotti, cioè gli inserzionisti, che avvertono il rischio di spendere molto per ottenere poco; e preoccupa le televisioni tradizionali come Mediaset e Rai, che temono effetti negativi sui propri conti. Per contro la tecnologia digitale via tivù, computer e telefonino offre a quegli stessi inserzionisti l'opportunità di investire in una pubblicità più gradita, interattiva e tagliata a misura dei gusti del singolo. In una parola, più efficace e più misurabile nei risultati. È in queste due facce della medaglia mediatica che si riassume quella che una ricerca dell'Ibm ha chiamato «La fine della pubblicità tradizionale».

I dati parlano chiaro. Nel 2007, secondo Itmedia Consulting di Augusto Preta, considerando Europa occidentale e Stati Uniti, la pubblicità su Internet valeva già 22 miliardi di dollari su un totale di 320 miliardi di dollari spesi in pubblicità. Ma nel 2010 la quota Internet dovrebbe salire a 40 miliardi di dollari su un totale di circa 370. Altre previsioni sono anche più ardite. Idc stima in 65 miliardi di dollari la pubblicità globale su Internet nel 2008. E calcola che salirà a 106 miliardi nel 2011. Infine, metà dei top manager interpellati in una ricerca di Accenture ritiene addirittura che Internet diventerà il primo canale pubblicitario nei prossimi cinque anni.

Le previsioni certo valgono quello che valgono, soprattutto in un settore che ne ha sbagliate tante. Alla fine degli anni '80, per esempio, molti guru prevedevano che nel 2000 la pubblicità dei prodotti alimentari avrebbe comunicato in modo trasparente che un prodotto industriale può essere un ottimo prodotto. Invece, vent'anni dopo, abbiamo ancora i mulini bianchi a raccontarci un mondo antico che non c'è più. Ma il cambiamento c'è sul serio. È un vero terremoto, che modifica le regole del gioco e tocca interessi e abitudini dei cittadini-consumatori. Vediamolo.

Nel vecchio mercato della comunicazione c'erano vari protagonisti con ruoli ben distinti: gli inserzionisti, le agenzie di pubblicità, i centri media (le strutture specializzate in pianificazione e acquisto di spazi), le tivù, i giornali. Infine lui, cioè noi, il pubblico. La novità più clamorosa di questi anni non è arrivata dai pubblicitari né dai televisivi, ma da Internet. È stata Google guidata da Eric Schmidt, che, offrendo agli inserzionisti la possibilità di fare pubblicità mirata sul singolo cliente-internauta, ha gettato le basi per un cambiamento epocale. Con la Microsoft di Steve Ballmer, implacabile, all'inseguimento. Nei soli mesi di aprile e maggio 2007 — dice Accenture — sono state concluse acquisizioni di aziende di pubblicità online per 12 miliardi di dollari. I giganti del web insomma stanno diventando i nuovi protagonisti del business. Da ciò discende una catena di conseguenze. La prima è che nel mega-laboratorio della pubblicità online i ruoli tendono a «contaminarsi». In certi casi per esempio l'inserzionista e il gestore del sito Internet collaborano alla ricerca della soluzione tecnica migliore, tagliando fuori l'agenzia. In altri casi i creativi sono gli stessi consumatori, che danno il proprio contributo di idee alla campagna pubblicitaria o, come nel caso clamoroso della Fiat 500, allo stesso design dell'automobile.

Ma non è finita. Il massimo della contaminazione è quando i concorrenti si mettono a collaborare: diventano «frenemies», come dicono gli americani fondendo le parole «friends» (amici) e «enemies» (nemici). Così Google con una mano vende servizi ai big della pubblicità e con l'altra fa loro concorrenza, fino al punto di creare una propria divisione creativa. Seconda conseguenza. Per arrivare al portafoglio del consumatore-che-non-vuole-più-farsi-consumare se ne inventano di tutti i colori. Gli esempi migliori arrivano dagli Stati Uniti, il mega-laboratorio più avanzato. Alcuni sono servizi televisivi molto graditi al pubblico. Il digitale, per esempio, dà la possibilità di ottenere informazioni sulla colonna sonora del film che si sta guardando e di comprare il cd. Lo spettatore acquista nel momento in cui prova l'emozione della musica, non dopo. Altre invece sono offerte di marketing rivolte a chi usa il cellulare. Per esempio il sistema «se mi guardi ti faccio lo sconto». L'operatore Virgin Mobile regala all'abbonato un minuto di tempo di conversazione per ogni minuto trascorso a interagire con i messaggi pubblicitari. Il metodo prende piede anche in Europa.

Bisogna tener conto, tuttavia, che in questa fase su Internet si sperimenta di tutto. Il motivo è semplice: i prezzi, ancora bassi, consentono all'immaginazione di andare momentaneamente al potere. Ma i mezzi persuasivi fondamentali restano e resteranno ancora quelli classici, soprattutto la tivù e la stampa (quest'ultima resta lo strumento informativo più credibile), magari un pò diverse da come ci siamo abituati a conoscerle. Quale piatto uscirà da questo pentolone è difficile dire. Il consumatore dovrebbe riuscire a ottenere più informazioni sulle cose che davvero gli interessano e a verificarne l'attendibilità confrontandole con le esperienze degli altri consumatori. L'azienda inserzionista, da parte sua, dovrebbe poter raggiungere il suo pubblico con maggior precisione. Quel che è certo è che tra azienda e consumatore sta nascendo un nuovo tipo di comunicazione a due vie. Che in termini economici rappresenta una torta gigantesca. I vecchi e i nuovi protagonisti del grande gioco mediatico stanno lottando per accaparrarsene la fetta più grande.

Edoardo Segantini


fonte: corriere.it
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