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I discografici: chiudete lo streaming condiviso


I discografici: chiudete lo streaming condiviso

di Alfonso Maruccia

Roma - RIAA all'assalto dei jukebox multimediali sul web: nove etichette discografiche, rappresentate dall'associazione di categoria celebre per aver portato in tribunale un numero di persone equivalente a un piccolo paese di periferia, hanno fatto chiamare alla sbarra Project Playlist, community di scambio e condivisione di playlist musicali online. L'accusa? Sempre la stessa, ovvero infrazione del copyright degli aventi diritto o presunti tali.

Project Playlist è un progetto sviluppato dalla omonima società di Beverly Hills, California, nato con lo scopo di facilitare la ricerca e l'ascolto di "personal playlist" per gli utenti della community. Un portale che è cresciuto in popolarità al punto da arrivare a totalizzare una media di 600mila contatti al giorno e 9,5 milioni di pagine aperte al mese, sostengono le major.

E come ben esemplificano i casi di imeem, Last.fm, Pandora e Qtrax, quando questo genere di servizi diventa troppo popolare scatta prevedibilmente la reazione dei potentati dell'industria che, nonostante la montante consapevolezza della necessità di cambiare mercato, business e atteggiamento nei confronti della "pirateria" online, non perdono comunque occasione di riaffermare la loro draconiana visione delle cose per quanto riguarda il copyright e condivisione dei contenuti multimediali in rete.
"Al semplice click di un mouse - si legge nella causa legale intentata da RIAA - Project Playlist trasferisce istantaneamente in streaming una performance digitale di una registrazione scelta dall'utente, il quale può ascoltarla sul proprio computer o su un dispositivo mobile". Oltre al semplice ascolto e alla compatibilità con player portatili quali iPod e iPhone, PP da la possibilità di embeddare le playlist sui siti di social networking più celebri quali MySpace, Facebook e la piattaforma di blogging Blogger.

Un circolo virtuoso di condivisione "social" che all'industria proprio non piace, perché a suo dire "l'intero business ammonta a nient'altro che a una massiccia infrazione" del diritto d'autore posseduto dalle major coinvolte nella causa. Major che ora chiedono la fine della suddetta, plateale infrazione assieme al pagamento di una cifra non specificata in riparazione dei presunti danni subiti.

A poco vale, a quanto pare, il fatto che Project Playlist affermi la propria estraneità all'infrazione dei diritti, funzionando in sostanza come motore di ricerca per contenuti ospitati altrove sul web. E in risposta alla possibile difesa della società basata sul suo essere semplice "ambasciatore" di registrazioni disponibili su server non di sua proprietà, RIAA sostiene che per rendere disponibili i brani ai propri utenti è necessario che PP indicizzi i contenuti in modo da poterli poi girare ai sistemi client.

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