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"Il web ha bisogno di un codice ma non chiamatela censura"


Tratto da repubblica.it
Articolo di VITTORIO ZAMBARDINO

ROMA - Regole internazionali condivise fra i paesi e un "vestito" giuridico nuovo, anche su base nazionale, per problemi antichi che tornano con forza dentro internet, come la tutela dell'immagine e della reputazione delle persone. Anche passando per un codice di autoregolamentazione dei provider ma soprattutto attraverso un forte dibattito culturale che cerchi di far capire a giovani e adulti quanto è potente il mezzo che hanno nelle mani, e l'effetto che può avere, anche a grande distanza di tempo, sulla vita delle persone. Ma la censura no, perché quella nella nostra Costituzione non c'è.

Sintesi arbitraria, come tutte, di una lunga conversazione, perché Francesco Pizzetti, 60 anni, costituzionalista e docente all'università di Torino, è presidente del Garante per la protezione dei dati personali, quello che in gergo si semplifica come "il garante della privacy", e della parola stessa "censura" non vuole sentire il suono. Cade fuori dall'ambito del suo discorso.

Ma lei internet la usa?
La uso".

Se dico che internet è una opportunità irripetibile e mai vista di espressione, lei concorda?
"Concordo, ma proprio perché concordo mi pongo il problema di come portare l'esercizio di questo immenso grado di libertà dentro un quadro che sia compatibile con regole, che per altri mezzi abbiamo, non senza fatica, trovato da tempo. Parlo della stampa. E penso a distinzioni fondamentali tracciate in casi ormai di scuola, come quello che alla fine dell'800 stabilì che scrivere cose lesive della riservatezza, sul comportamento di una signora durante una festa, su un giornale di Boston, non era più pettegolezzo circoscritto a un ambiente ristretto ma lesione vera e propria di quello che fin da allora fu definito "diritto alla privacy". Oggi abbiamo un problema analogo: persone che dispongono di un mezzo potentissimo, capace di far circolare i contenuti in forme, tempi e modi la cui consapevolezza e controllo sfuggono allo stesso autore, possono essere indotte ad usarlo come se fosse un pettegolezzo fra amici o una chiacchiera al circolo del tennis. Non è così. E bisogna che qualcuno lo faccia capire con chiarezza agli utenti internet".


Non basta che vi sia una piena tracciabilità, nel senso dell'attribuzione di responsabilità ad una persona/autore, di un certo contenuto?
"La tracciabilità è talvolta problematica, ma certo avere chiaro chi scrive o pubblica qualcosa è già un passo avanti. Ma bisogna discutere - e un dibattito a livello internazionale esiste già - sui mezzi e le misure con i quali rendiamo possibile la punizione di comportamenti illeciti che ledono la riservatezza o addirittura diffamino le persone quando vengano commessi attraverso internet. E più in generale: la rettifica, per esempio, il ristabilimento di una corretta informazione, come lo garantiamo? O la possibilità di rivalersi in sede civile o penale come viene assicurata? Sono questioni complesse, perché data la sovranazionalità del mezzo potremmo avere persone che si ritengono danneggiate in più paesi e quindi sorge un problema di quale sia il foro competente e le leggi da applicare per queste questioni. In altre parole c'è un problema di definizione delle tipologie di responsabilità e dei fori e delle leggi nazionali competenti".

Non teme che la pretesa di regolare la cosa a livello esclusivamente nazionale possa portare verso forme di controllo indebito?

"Credo che dovremmo rifuggire dall'idea che se normiamo a livello nazionale siamo fondamentalisti e se invece cerchiamo regole a un livello internazionale siamo dei buoni laici. E' ovvio che la ricerca delle misure adeguate si muova sul terreno sia della costituzione che dei principi dello stato di diritto. Ma dico, chiedere ai provider un codice di auto regolamentazione per cui vi siano delle avvertenze comunicate all'utente, tese a renderlo informato sia sulle potenzialità del mezzo che sui rischi cui espone se stesso e gli altri usandolo impropriamente, mi pare una misura accettabile. O no?"

Accettabilissima, perché è esperienza quotidiana di chi scrive e legge in rete che anche gli adulti non sanno regolarsi col mezzo. E tuttavia non si resta tranquilli se si pensa che poi le regole internazionali potrebbero usarle anche paesi non democratici per individuare persone che dissentono. Ci sono stati anni in cui garantire l'anonimato in rete era un modo per garantire la libera espressione dei cittadini dei paesi dell'Europa dell'est

"No, no, non facciamo confusione. Abbiamo esperienza e precedenti a livello di giurisprudenza internazionale per poter tutelare la libertà delle persone contro intrusioni e pericoli autoritari. Non vorrei che sovrapponessimo cose fra loro diverse..."

Va bene, passiamo oltre. Lei ha quasi lanciato un allarme dopo i casi del video sul ragazzo vittima di bullismo e dopo la vicenda di Reggio Emilia dell'adolescente le cui immagini sono state diffuse via cellulare e per posta elettronica... Allarme, professore?

"Sono molto preoccupato. E' ben vero che certi fenomeni esistono da quando c'è l'istituzione scolastica. Già in De Amicis, c'è il figlio della verduraia che viene sbeffeggiato e offeso, se lo ricorderà... Ma questo fatto sarebbe rimasto circoscritto, se non fosse andato sulla rete. E questo pone un problema tutto diverso. Prendiamo un altro caso: una o un tredicenne che diffonde oggi immagini sue o dei suoi compagni in pose scomposte o in atteggiamenti impudichi, non potrebbe fra molti anni, una volta adulto, ricevere un danno nella sua vita privata o professionale per l'indebita ridiffusione di quelle immagini di oggi?"

"Ora chiedo: qualcuno glielo deve spiegare a questi ragazzi come stanno le cose o no? Come creiamo questa consapevolezza? Non ci vuole un forte dibattito culturale, ma anche una comunicazione precisa, verso chi usa la rete?"

Non fa un piega, ma potrebbero esserci misure diverse?

"Nessuno pensa di chiudere l'esperienza delle nuove generazioni con internet, sarebbe una misura suicida. Credo proprio che non ci siano da nessuna parte propositi del genere. Ma siamo abituati a risolvere i problemi che ogni tecnologia ci presenta sia sul piano giuridico che cercando la collaborazione dei produttori, di coloro che concorrono alla diffusione del prodotto. Dico, le case automobilistiche il problema del pulsante bloccaporta per impedire ai bambini di cader fuori dell'auto, se lo sono posto e lo hanno risolto. Quel pulsante è un fastidio per gli adulti, però serve ai bambini. In questo senso ho apprezzato lo sforzo di Microsoft per un campagna formativa verso i giovani...."

Insomma niente censura...

"Ancora con la censura? Non c'è nella Costituzione, la censura"

(12 dicembre 2006)
__________________
TrafficanteDiPinguini il BloG!


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